Vivere coi poeti
[Introduzione] Vivere coi poeti, pp. 5-6
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Potrà parere ambizioso un titolo così impegnativo a una smilza raccolta d'articoli di giornale e brevi trasmissioni alla radio, o addirittura di cartoline postali mandate ad amici che discorrono di poeti al tavolo d'una trattoria romana?
E anche noi siamo stati dubitosi sul mantenerlo o no a foglietti di poco spazio e di minor conto. Ma, alla fine, prendiamo le parole con umiltà: vivere coi poeti suona come un invito alla buona compagnia (Ennio chiamava santo lo stesso nome di poeta), e qui, a parte il Manzoni che bisogna leggere sempre per abituarci a essere modesti, qui si tratta pure di gente onesta, con cui abbiamo anche vissuto, e da cui abbiamo cavato conforto di poesia e amorose lezioni di lettura, che è collaborazione alla poesia.
Vivere coi poeti non è poi un privilegio che il cielo conceda a così pochi: ne siamo, chi più chi meno, partecipi tutti. Poesia è la nostra quotidiana porzione di felicità; ed è proprio uno dei nostri - Giovanni Papini - che un giorno ci ha insegnato a pregare: — Dacci oggi la nostra poesia quotidiana...
Grande o piccolo, il portento della poesia ci colpisce sempre, anche se poi non si sa dire cosa sia: un soffio, un ridere lieve dell'anima tra sillabe e suoni, come un ridere d'aura tra le foglie e i rami, e nasce il mattino.
In fine, queste modeste pagine vogliono essere testimonianza
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di gratitudine ai nostri «rivelatori», che ci aiutano a veder meglio le cose della terra e del cielo. Ricordate (lo racconta il Panzini) la giovinetta povera e cieca che una sera piangeva in una botteguccia di provincia; e, domandata perché piangesse, rispose: — Per la morte del Pascoli.
Ella non l'aveva conosciuto di persona, ma diceva che per le sue poesie, lei cieca, aveva veduto il cielo e i fiori.
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